(di Anna Venturini) Quando avevo sei anni, senza che me ne rendessi conto, nel senso che allora non mi pareva ovviamente un fatto negativo né positivo, vivevo a contatto con la natura e con i suoi ritmi in una maniera tanto serena che non ho mai più avuto occasione di provare, nonostante non abbia mai abbandonato il contatto con la terra.
Se mio padre decideva di preparare una frittata per pranzo, mi mandava in pollaio a prendere le uova, ancora calde nella casetta con la paglia. A nulla valeva l’obiezione che nel frigo già fossero conservate quattro uova. “Quelle sono dell’altro ieri. Le facciamo bollire e quando sono sode, le sbucciamo. L’uovo lo metti nella pappa del cane, e la scorza la schiacci bene a pezzetti piccoli e la mescoli nella pappa delle galline. Nella scorza c’è il calcio e loro hanno bisogno di calcio proprio perché la scorza delle uova sia bella dura, per questo le vedi becchettare i sassolini più piccoli, per il calcio”. Piccola perla di educazione alimentare.
Oggi vedo sui quotidiani il faccione dell’amministratore delegato di turno che inaugura soddisfatto una nuova fabbrica per la produzione di “uova liquide”. Ma ne avevamo davvero bisogno? Posti di lavoro, tecniche avanzate, macchinari modernissimi. Il solito bla bla. Pervasa da un vago senso di nausea all’idea dell’uovo liquido, mi informo. E scopro che ogni prodotto di pasticceria industriale, ogni gelato, ogni tipo di pasta, ogni e qualsiasi alimento che si suppone debba contenere uova, contiene invece l’uovo liquido, ovvero una poltiglia giallastra fatta, si suppone, di uova (dicono, sgusciate, pastorizzate, refrigerate) e quant’altro sia necessario aggiungere perché duri mesi senza trasformarsi in uovo marcio. Prodotto perloppiù importato dalla Cina attraverso numerosi siti on line che reclamizzano inquietanti confezioni in tetrapack di ogni forma e dimensione piene del liquido giallastro.
L’essermi tenuta lontana, durante i successivi quarant’anni trascorsi tra l’uovo raccolto nel pollaio e l’inaugurazione dell’uovo liquido, dalle corsie dei supermercati di tutto il mondo, dai fast food, dall’insalata nella busta di plastica e dagli hamburger, a volte mi fa risvegliare in un’altra dimensione, fatta di polveri e liquidi, coloranti e conservanti che hanno superato di gran lunga la fantascientifica alimentazione delle pellicole americane che preconizzavano esseri umani capaci di nutrirsi di sole pillole e acqua.
Ora, tutta la mia approvazione va ai vegani, a quelli di loro almeno che hanno scelto di evitare i prodotti di origine animale provenienti dalla grande industria e si sono informati doverosamente su quanto accade nelle catene di produzione di uova e latticini.
Non comprenderò mai coloro che consumano ogni sorta di prodotto impacchettato e conservato che dura anni e ammicca al consumatore con la scritta vegan, quasi fosse una benedizione divina. Se dobbiamo ritrovare una seria consapevolezza nella nostra alimentazione e nel nostro rapporto con la terra, lo dobbiamo fare con presupposti seri e reali.
Se non mangio l’uovo e mi ingozzo di hamburger di soia ogm senza avere la più pallida idea dell’impatto etico e ambientale di quel prodotto, non ho fatto un passo avanti, ma mi sono semplicemente spostato di lato.
A tavola
La torta di verdure appartiene alla più antica, povera e rustica tradizione rurale e chiunque può ancora raccontare di quanto deliziosa fosse quella della nonna, che trascorreva ore nei campi a raccogliere le più svariate “erbette” selvatiche per poi pulirle accuratamente, sbollentarle appena e utilizzarle nella mitica torta salata.
A meno che non abitiate davvero in campagna e sappiate riconoscere le erbe commestibili vi consiglio di realizzare la vostra versione della torta salata con l’aiuto di un buon banco di verdure al mercato, dove troverete facilmente finocchietto, punte di asparagi selvatici, bietoline e tarassaco.
Le nonne conoscevano una varietà infinita di erbe di campo, oggi scomparse o dimenticate. Per una frittata di sei uova (vere) dovrete utilizzare circa 700 grammi di erbette e farle sbollentare in acqua salata. Quando si saranno raffreddate, le taglierete a pezzetti e unirete sei uova e due pizzichi di sale. Cuocete la frittata a fuoco moderato, facendo attenzione che non si attacchi e girandola semplicemente con l’aiuto di un coperchio grande o di un piatto piano. Lo stesso impasto lo potreste utilizzare per realizzare una torta salata cotta in forno. Foderate una teglia di medie dimensioni con una pasta sfoglia e stendete l’impasto livellandolo accuratamente. Cuocete in forno moderato per circa venti minuti.