Dal matarocco al macco, viaggio tra le zuppe “esterofile”

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(di Paola Roccoli) Durante la stagione più fredda si è solito consumare minestre e zuppe che aiutano l’organismo a disintossicarsi e a produrre energia. Anche nelle regioni più calde come la nostra Sicilia, si può contare su una lunghissima tradizione di cucina povera e legata alla terra.

Le zuppe consumate in passato dai contadini richiamano civiltà diverse succedutesi nel tempo, nello specifico la francese e la spagnola o addirittura quella dell’antica Grecia.

Una zuppa delle campagne del Trapanese, chiamata salamoreci a Trapani e matarotto a Marsala, presenta molte analogie con il gaspacho, la famosa zuppa fredda spagnola, a base di pomodori, peperoni e cetrioli crudi. Anche il matorotto si prepara con pomodoro, aglio e basilico crudi, si allunga con acqua, e si mangia freddo. I contadini siciliani usavano consumarla nei campi interrompendo la mattinata di lavoro, inzuppando tocchetti di pane di semola raffermo che sembravano piccoli sugheri, da qui il nome di suvereddi e anche ammogghiu, ovvero da ammollare.

Il matarotto annoverabile tra le zuppe perché gli ingredienti sono crudi; ma non è nemmeno un’insalata perché la consistenza è di una minestra. Non è da considerare un cibo tipico siciliano, quindi è da presumere che la sua origine sia assimilata da altri paesi, e nel caso specifico dalla Spagna.

D’ispirazione francese è invece la frascatula una pietanza del paese di Sperlinga in provincia di Enna. Gli ingredienti sono il broccolo e la farina di semola pura, che si versa nell’acqua di cottura, lasciandola addensare a fuoco basso. Il risultato è una rudimentale versione di cavolfiore con bèchamel di provenienza francese, dove la vera principale differenza consiste nell’utilizzo dell’acqua al posto del latte. In Sicilia, infatti, non è abitudine cucinare cibi con il latte, ad eccezione dei dolci.

A Sperlinga durante e dopo la guerra dei Vespri, gli abitanti mantennero rapporti con gli usurpatori Angioini. Di questo ne dà prova il dialetto locale che subisce le inflessioni francesi e la stessa influenza, ovviamente, si riscontra in cucina.

In provincia di Messina, si ritrova un piatto della tradizione pasquale ‘u sciuscieddu che, con la sua consistenza brodosa e la sua crosta gratinata, ci ricorda la francese soupe d’oignon (zuppa di cipolle), anche se nel piatto siciliano le cipolle non sono l’elemento principale.

Tra le zuppe siciliane un posto d’onore occupa il famoso maccu di fave, che vanta origini antichissime. Viene ricordata da Plinio come pietanza sacra di arcaica religione, importanza che veniva attribuita alla fava nel mondo romano e greco; ad essa Aristofane, che la introdusse nella commedia “Le rane”, riconobbe anche poteri afrodisiaci, tanto da indicarla capace di far compiere ad Eracle incredibili gesta amatorie. Nel vocabolario siciliano – italiano di Antonio Traina del 1868, il termine maccu indica “vivanda grossa di fave sgusciate, cotte in acqua e ridotte come in pasta”. Si tratta sicuramente di un cibo povero che veniva consumato dai braccianti con appena un filo d’olio.

Nei nuovi ricettari siciliani, il maccu viene descritto con una ricetta più ricca, con il finocchietto selvatico e la pasta corta unita, a metà cottura, alla purea di fave dove finirà la cottura. Al filo d’olio finale si può aggiungere il caciocavallo grattugiato. Il maccu di fave, definito dal gourmet Pino Correnti nel suo libro d’oro della cucina e dei vini di Sicilia di Mursia, “fra le più antiche e saporite vivande in Sicilia” è la pietanza dedicata a San Giuseppe secondo un’usanza secolare, tramandata nelle celebrazioni agresti, in coincidenza dell’equinozio di primavera dell’antichità classica.

Nella ricetta originale del maccu di San Giuseppe, si fanno bollire insieme cipolle, fave sgusciate e tutti i legumi rimanenti della stagione passata quali, piselli, ceci, fagioli, lenticchie e verdure quali la borragine, semi di finocchio, pomodori secchi e semi di finocchio. Alcuni giorni prima della festa si dispongono grossi calderoni di minestra davanti alle case delle famiglie che hanno fatto un voto e appena pronto, il minestrone viene offerto ai vicini.  

Ogni anno si ripete così un esempio di convivialità che ci riporta alla convivenza con i popoli che si sono pacificamente susseguiti nell’Isola, lasciando il loro contributo culturale e gastronomico, tesoro per una Sicilia che oggi è una regione con un altissimo livello di eccellenze nel campo agroalimentare.

Matarocco

Ingredienti per 4 persone

  • 6 pomodori maturi di media grandezza
  • 6 spicchi di aglio
  • 2 pomodori verdi
  • un mazzetto di basilico
  • olio extravergine di oliva
  • pepe q.b.
  • sale q.b.

Pestate a lungo in un mortaio di pietra l’aglio e il basilico con un pizzico di sale. Aggiungete i pomodori spellati e senza semi, un po’ d’ olio, pepe e continuate a pestare. Versate il composto in una zuppiera e allungatelo con acqua fredda fino a renderlo liquido come una zuppa, quindi aggiungetevi il pomodoro per insalata tagliato a pezzettini. Dividete nei piatti e servite con tocchetti di pane di grano duro raffermo o pane tostato.

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