Il rancio dei soldati nella Grande Guerra e l’unificazione gastronomica

(di Vanessa D’Acquisto) Domenica 4 novembre ricorre il centenario della fine della Grande Guerra a seguito della firma dell’armistizio con l’Austria-Ungheria per porre fine alle ostilità. Durante la guerra, il rancio costituiva uno dei rari, anzi rarissimi, momenti di conforto per i soldati. 

«La guerra va combattuta a stomaco pieno», questo erano le linee guida seguite degli Alti Comandi dell’esercito Regio. Ecco perché all’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 venne creato un sistema di approvvigionamenti efficiente sia dal punto di vista della quantità che della qualità.

Al fronte si trovarono insieme per lo più contadini meridionali e settentrionali, i quali si trovarono a mangiare cibi mai assaggiati prima e si assistette allo scambio di ricette locali creando una sorta di “unificazione” gastronomica, base della moderna cucina italiana.

Il rancio veniva trasportato fino alle truppe a dorso di mulo dentro le casse di cotture, le antenate delle nostre pentole a pressione, dove all’interno contenevano le marmitte dal peso di 55 kg l’una che corrispondevano a 25/30 razioni. Il rancio veniva cotto durante il tragitto o durante la notte, con tempi spesso lunghi e non esente da intoppi, e il risultato  era sottoposto al giudizio sarcastico dei soldati. Il riso, per esempio, veniva chiamato «colla».

rancio
Soldati durante il rancio

Nel 1915 la razione giornaliera del rancio di un soldato era costituita da 3000 kcal per le truppe territoriali e 4082 kcal per le truppe combattenti e per quelle sottoposte a lavoro intenso in alta montagna. Le razioni erano di tre tipi e variavano secondo la posizione della truppa (al fronte o in retrovia) e la stagione. Ogni soldato aveva diritto a 750 gr di pane, 375 gr di carne, 200 gr di pasta o riso, caffè, cioccolato e formaggio. Se era dislocato in alta montagna in più aveva latte condensato, o pancetta, o lardo, o frutta secca. In più disponeva di una razione di riserva composta da 400 gr di galletta e una scatoletta di carne di bue. La galletta era un tipo speciale di biscotto dal peso di circa 200/100 gr che veniva distribuito per sostituire l’ordinaria razione di pane fresco in caso di carenza, di cui aveva gli stessi principi nutritivi ed era predisposto ad una lunga conservazione ed a rimanere intatta durante il trasporto.

Il soldato poteva avere anche nella sua razione ¼ di litro di vino, ma solo tre volte a settimana, se ne voleva di più, lo poteva comprare, ma il costo era elevato in confronto alla sua paga. Venivano distribuiti vari liquori, come marsala, rhum, cognac, elisir di china, liquore d’anice. Purtroppo, però, la loro distribuzione insieme a quella del cioccolato era segno di un loro imminente attacco e quindi non sempre veniva accolta con gioia.

rancio della grande guerra
Cucinieri preparano il rancio

L’idea che la Grande Guerra fosse una guerra lampo svanì quasi subito e allora i comandi furono obbligati a ridimensionare le razioni. Nel 1916 la razione del rancio fu abbassato a 2800 kcal e a 3850 kcal e comprendeva 600 gr di pane e 250 gr di carne, sostituito due volte a settimana dal pesce. Il rancio giornaliero era costituito da tre pasti principali: al mattino fichi secchi o castagne o mandorle o noci o nocciole o formaggio o mele fresche, nel primo e nel secondo rancio in prevalenza venivano distribuiti zuppe di legumi e minestre di verdure con pasta o riso e solo tre volte a settimana la carne.

La situazione per il soldato al fronte si fa più tragica dopo la disfatta di Caporetto del 1917. Le calorie al fronte vengono ancora ridotte, si arrivò a 2700 e 3060 kcal e di conseguenza fu ridotta anche la varietà del rancio giornaliero. La situazione migliorò l’anno successivo, le calorie aumentarono di nuovo (2800 e 3580 kcal) e il soldato poté riavere un aumento delle razioni.

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