Pensavamo si fosse persa con la ricerca quasi affannosa dei gelati moderni dai gusti improbabili o standardizzati. Quelli tutti uguali, fatti con le basi pronte di cui sono piene le vaschette dei bar.
Invece no, la tradizione dei pezzi duri alla napoletana, i gelati che qualche decennio fa hanno fatto la fortuna di alcune pasticcerie palermitane, è rimasta viva e vegeta.
L’abbiamo scoperta da José, pasticceria dagli anni ’60 su via Messina Marine, l’arteria stradale che, prima dell’avvento dell’autostrada, veniva percorsa in estate da tutti quelli che dovevano raggiungere i paesi della costa Nord dell’Isola dove avevano la casa di villeggiatura.
Santa Flavia, Mongerbino, Porticello, Casteldaccia, Altavilla Milicia e Trabia, queste le mete dei palermitani in fuga dall’afa e dal caldo della città. Una sosta era considerata obbligatoria per l’acquisto dei gelati da portare agli amici e ai parenti da cui si andava in visita. “Da José” era anche punto di riferimento per tutti i bagnanti che affollavano i numerosi stabilimenti balneari di Romagnolo che si trovavano esattamente dall’altra parte della trafficatissima strada.
I pezzi duri alla napoletana, le bombe, le bombette, i giardinetti sono rimasti uguali a quando sono stati inventati nell’Ottocento, quando gran parte della popolazione era alla fame e il gelato potevano permetterselo solo i ricchi borghesi e i nobili. Ora come allora i sapori sono autentici e i colori rispecchiano la natura degli ingredienti. E anche la consistenza non è cambiata. Durissimi tanto da resistere senza liquefarsi per quasi un’ora. E così tenaci da richiedere l’uso della paletta, un cucchiaino pensato apposta per questo tipo di gelato che invece di piegarsi raschiava la superficie esterna e più tenera del pezzo.
La tecnica di preparazione dei pezzi duri di gelato è quasi immutata. Ha solo tratto vantaggio dai frigoriferi che hanno fatto riporre in soffitta le vecchie ghiacciaie e la metodica di produzione basata sull’uso della salamoia di neve e sale. Piero D’Amico, titolare della pasticceria da José insieme ai giovani figli Giuseppe e Gabriele, ricorda ancora i racconti di suo padre: «Un tempo, quando non si buttava via niente, perfino la salamoia mista al gelato che rimaneva attaccata sulla parte esterna degli stampi aveva valore: si chiamava tagliatella e la compravano a poco prezzo i meno abbienti».
Da Josè, in quella parte di Palermo che si affaccia sul mare a cui ha purtroppo in pratica voltato le spalle, si replica e con successo quell’antica tradizione del gelato che un tempo si consumava solo d’estate. Al tradizionale giardinetto inventato dai gelatieri napoletani in onore di Garibaldi – in cui il tricolore era evocato dal verde del pistacchio il bianco del limone e il rosso della fragola – si aggiungono i tranci delle bombe con il cuore imbottito di crema riso chantilly, canditi, panna e all’esterno un cioccolato scuro come quello fondente o un caffè che ha il sapore dell’omologa granita e un nocciola che riporta immediatamente alla memoria l’ultima volta che ne avete sgranocchiata una.
Sulle bombe, poi, un misto di storia e leggenda: pare che si chiamino così per il fatto che nell’immediato dopoguerra, i gelatieri non avendo abbastanza soldi per comprare le forme per il gelato, usassero le ogive delle bombe. Difficile credere che si presentassero ancora nella forma originaria, ma la storia, anche se inventata, esercita un certo fascino.
L’apoteosi si raggiunge con un sorbetto al mandarino tardivo di Ciaculli. Impossibile da descrivere con le parole. Bisogna assaggiarlo.