La Civitas Splendidissima e il suo secolare bagaglio gastronomico: è questo il filo conduttore dell’incontro che ha per protagonista la favazza.
L’alimento, semplice ma dall’identità straordinariamente longeva, affonda le radici nelle vie della città di Himera, dove si preparavano succulenti focacce, come testimoniano recenti ritrovamenti archeologici.
Nell’ottica della archeogastronomia e della riscoperta e valorizzazione delle pietanze antiche e tipiche di un determinato territorio ormai di tendenza, pure Termini Imerese può offrire spunti di approfondimento. Tant’è che nell’ambito della 3a edizione della “Sagra della Favazza termitana”, sabato 30 novembre alle ore 18,30 presso il Circolo Stesicoro (Corso Umberto e Margherita n.68, Termini Imerese) è in programma un convegno dal titolo “Termini Imerese, la città della focaccia”.
L’apertura del programma è stato affidato Eugenio Di Stefano (Presidente del Circolo Stesicoro) a quale seguiranno le relazioni di valenti cultori quali Nando Cimino (cultore di storia e tradizioni siciliane) intitolata “L’Immacolata tra tradizione e fede”, quella di Michele Maciocia (progetto “Cotti in Fragranza”) dal titolo “La focaccia del riscatto” e quella di
Alfonso Lo Cascio (presidente regionale BCSicilia) dal titolo “Cibo e tradizione: opportunità e percorsi per uno sviluppo turistico”, moderate da Rosario Ribbene (giornalista e saggista).
Il convegno anticipa la Sagra della Favazza Termitana 2019 che si svolgerà il 1° dicembre e, con esso, nelle intenzioni degli organizzatori, si vuole affinare il profilo identitario di questa immancabile pietanza che impreziosiva ‘a nuttata ra Maronna.
La favazza termitana, vero e proprio piccolo tempio del gusto, è costituita da un impasto alto, soffice, pronto ad ospitare un sontuoso condimento costituito da una gran quantità di pomodoro, cipolla, caciocavallo, acciughe salate, origano e olio extravergine.
Questa semplice elaborazione gastronomica, per gli studiosi di storia e archeogastronomia, può funzionare come una vera e propria macchina del tempo. In essa è rinvenibile una stratificazione culturale che, a ritroso, parte dalle teglie e dai forni contemporanei, attraversa la seconda metà dell’Ottocento – ricordando Giuseppe Pitré che nel 1889 colloca la la fucaccia, fuaccia, fucazza, fuazza, fuazzu tra le “Paste molli e Schiacciate” – sfiora il Medioevo – con le possibili influenze dei navigatori genovesi in questa cittadina del palermitano – e va diritta alle focacce che tra la fine del sesto secolo avanti Cristo e l’inizio del quinto avvolgevano con il loro aroma la mitica Himera.
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