Alla riscoperta dei frutti d’autunno dimenticati, tra tradizioni e ricordi

Chi ha superato gli “anta” ne ha ancora qualche vago ricordo. Qualcun altro ne conosce l’esistenza per via dei racconti dei nonni. Alcuni frutti autunnali, un tempo legati alla tradizione e spesso a riti religiosi e credenze pagane, sono ormai da anni fuori dai circuiti commerciali. Eppure molti di questi prodotti della terra possiedono virtù e proprietà di grande interesse non solo per la salute umana, ma anche per la bellezza.

I più informati rimangono i contadini (specialmente quelli anziani) che hanno avuto cura di queste piante dimenticate nei loro giardini o gli amanti della natura che nelle loro passeggiate autunnali nella macchia mediterranea (magari alla ricerca di funghi) si imbattono in piante che in questo periodo assumono colori meravigliosi.

Per rinfrescarne il ricordo o stuzzicare nuove curiosità abbiamo deciso di dare spazio a prodotti che rischiano l’oblio o, speriamo di no, l’estinzione. Un pericolo che, grazie alla maggiore attenzione alla salvaguardia della biodiversità e alla green economy basata sulla nutracetica, dovrebbe essere scongiurato. Ma vediamoli in una piccola rassegna, questi frutti dimenticati. Chissà che a qualcuno non riaffiori qualche ricordo infantile…

La sorba (‘a zorba)

Frutto antico, un tempo molto diffuso tra contadini e pastori, somiglia a una piccola mela o una piccola pera con diametro tra 2 e 4 centimetri. Si raccoglie in autunno quando assume colore giallo-rossastro. Appena raccolto ha sapore acidulo per via della forte presenza di acido malico e vitamina C ed è decisamente sgradevole. Il frutto diventa dolce con polpa farinosa e molle dopo “ammezzimento”, ovvero dopo avere conservato i frutti al buio e sulla paglia per qualche tempo fino a quando assumono la colorazione bruna. Alla tecnica dell’ammezzimento si riferisce il vecchio adagio siciliano “Cu lu tempu e cu la pagghia, si maturunu li sorbi” che tradotto italiano diventa: “Con il tempo e con la paglia maturano le sorbe”. In questa parole tanta saggezza e l’invito a sapere attendere perché ogni situazione possa evolvere senza fretta, arrivando al giusto punto di maturazione.

Il sorbo domestico (Sorbus domestica L.) appartenente alla famiglia delle Rosaceae, è una specie originaria dell’Europa meridionale. In Sicilia si trova nei boschi montani di latifoglie che crescono su calcarei. 

Conosciuta fin dai tempi antichi come rimedio naturale contro la dissenteria e le infezioni batteriche di varia natura, la sorba era nota anche al tempo dei Romani che ne apprezzavano la tenerezza e la dolcezza, soprattutto nella preparazione di liquori. Ai tempi di Virgilio era pratica diffusa la fermentazione di questo frutto con il grano. Il prodotto alcolico che se ne otteneva si chiamava “cerevesia” ed era simile al sidro.

In fitoterapia le sorbe sono conosciute e apprezzate per le loro proprietà astringenti, diuretiche, detergenti, rinfrescanti e tonificanti. Apportano sorbitolo, che viene trasformato in fruttosio senza intervento dell’insulina e pertanto, nei casi di iperglicemia, non è raccomandabile il suo uso come zucchero alternativo ai diabetici.

In cucina le sorbe vengono utilizzate per confetture, liquori e salse. Nell’industria alimentare viene utilizzato il sorbitolo – che dalle sorbe trae il suo nome – un alcol che per la sua capacità idrostabilizzante è utile nei prodotti che devono trattenere acqua come per esempio gelatine, creme, frutta candita, gelati.

L’azzeruolo (azzaluora)

In dialetto assume diverse denominazioni: azzaluora, lazzeruolo, gasariolo, nazzeruolo e razzeruolo. L’azzeruolo (Crataegus azarolus), frutto dall’inconfondibile gusto e profumo, in passato era facilmente reperibile dal fruttivendolo fra i prodotti di stagione. Da anni è ormai quasi dimenticato e difficilmente si trova in commercio; tuttavia, chi frequenta i mercati contadini può avere la fortuna di acquistarlo e di farsi raccontare dagli agricoltori che uso farne.

L’albero da frutto, appartenente alla famiglia delle Rosacee, pare sia originario dell’Asia minore o dell’isola di Creta, un tempo in Sicilia veniva coltivato, insieme a pruni selvatici e sorbi, o innestato in siepi di biancospino. Cresce spontaneo nella macchia mediterranea, i suoi frutti sono bacche globose simili a piccole mele di 1-2 centimetri di diametro che diventano rosse quando a settembre-ottobre giungono a maturazione. Con i frutti si ottiene una marmellata dal profumo vigoroso, dove si uniscono l’acidulo e il dolce.

I frutti dell’azzeruolo possiedono numerose proprietà. Sono dissetanti, diuretici, antianemici, cardiotonici e ipotensivi. Inoltre è utilizzato in cosmesi come rivitalizzante per le pelli rovinate, spente e opache grazie all’elevato contenuto di pro-vitamina A che funziona da efficace antiossidante.

Il corbezzolo (ummarieddu)

Il corbezzolo è una pianta arbustiva sempreverde, appartenente alla famiglia delle Ericaceae, la stessa del mirtillo ed è diffusa in tutte le regioni a clima mediterraneo. Il nome botanico, Arbutus unedo, deriva da “unum tantum edo” che significa “ne mangio uno solo”, gli fu assegnato da Plinio il Vecchio, facendo una chiara allusione alla scarsa gustosità dei suoi frutti o all’invito a non abusarne per evitare fastidiosi casi di stipsi. I Romani gli attribuivano poteri magici e ad esso associavano il sentimento di stima. Virgilio nell’Eneide ricorda, infatti, che i parenti del defunto erano soliti depositare sulle loro tombe rami di corbezzolo.

In autunno avanzato la pianta presenta contemporaneamente i fiori (bianchi e riuniti in grappoli) e frutti commestibili dalla superficie verrucosa e di colore fra il rosso, l’arancio e il giallo che a maturazione tendono a cadere dall’albero, costituendo così un importante fonte di cibo per gli animali selvatici che vivono nella macchia.

Numerose le proprietà terapeutiche del corbezzolo che sono però sono da ricercare soprattutto nelle foglie: antidiarroico; antinfiammatorio delle vie biliari, del fegato e di tutto l’apparato circolatorio; antispasmodico dell’apparato digerente; diuretico, antisettico e antinfiammatorio delle vie urinarie.

Alcune di queste proprietà, si ritrovano nel miele di corbezzolo caratterizzato da un gusto delicato e un po’ amarognolo.

I frutti, che nell’aspetto ricordano vagamente le fragole, pur essendo commestibili, non particolarmente gradevoli. Facile, dunque, evitare alcuni effetti collaterali negativi dovuti a scorpacciate di corbezzolo: la stipsi, i disturbi della digestione e il leggero stordimento simile all’ubriachezza (dovuto alla presenza di una certa quantità di alcool nei frutti maturi).

Dalla distillazione dei frutti maturi schiacciati e macerati nell’acqua fino alla fermentazione, si ottiene un’ottima acquavite: “il vino di corbezzolo”. Anche in cucina il corbezzolo trova impieghi interessanti nella preparazione di insolite marmellate o un di gustoso aceto da utilizzare per condire insalate e crudità.

Il mirto (murtidda)

A Palermo, un tempo, era usanza consumare ’a murtidda l’8 dicembre, nella ricorrenza dell’Immacolata, quando i venditori ambulanti abbaniavano: “A murtidda, a murtidda, ppi-ddivuzzioni si mancia a murtidda“. Secondo la tradizione popolare religiosa, infatti la pianta del mirto è sacro alla Madonna. Diversa, invece, la tradizione pagana, secondo cui il mirto è dedicato ad Afrodite, dea dell’amore, che poi diventerà Venere nel mondo latino. Secondo il mito, Afrodite, dopo essere nata dalle acque del mare di Cipro, per sfuggire alle brame di un satiro che la inseguiva, ebbe riparo in un bosco di mirti.  A questa specie botanica sono riconosciute proprietà afrodisiache, ma nella tradizione al mirto viene associato il valore della fedeltà e della purezza tanto che Plinio lo definì “Myrtus coniugalis” e in Germania ancora oggi viene ricordato come la pianta delle spose. 

Il Myrtus communis, è una pianta aromatica e rappresenta uno degli arbusti più comuni della macchia mediterranea. Può raggiungere i tre metri di altezza, ha portamento cespuglioso e ramificazioni sottili; la corteccia è rossastra, il fogliame è verde scuro. In estate produce numerosi fiori bianchi, profumati e di piccole dimensioni; i frutti, piccole bacche di colore nero o bluastro, talvolta bianche (a seconda della varietà) sono commestibili e si raccolgono in autunno. 

Le foglie hanno proprietà aromatiche, astringenti, rinfrescanti e balsamiche, mentre i frutti, consumati freschi, hanno potere disinfettante e stimolante. Un tempo il mirto veniva usato per la decorazione dei presepi, degli altarini e delle edicole votive. Da questa usanza trae origine l’antico proverbio: “Ogni festa havi la sò murtidda“. Con i frutti del mirto, grazie alle pregevoli caratteristiche aromatiche, si preparano liquori dalle apprezzate proprietà digestive. Quest’uso è fortemente radicato in Sardegna dove il digestivo a base di mirto è uno dei simboli della tradizione regionale.

Liquore al mirto

Ingredienti

  • 600 gr di bacche di mirto
  • 1 lt di alcool per alimenti
  • 1 lt di acqua
  • 600 gr di zucchero

Dopo avere lavato le bacche, mettetele all’interno di un recipiente ermetico (capace di contenere anche la quantità di alcol indicata in ricetta) nel quale versare l’alcol fino a ricoprire tutti i frutti. Lasciare il tutto in “infusione” per almeno 60 giorni con il recipiente chiuso ermeticamente, avendo cura di tanto in tanto di verificare che il livello dell’alcol non scenda mai al di sotto dei frutti. Al termine della macerazione estraete tutti i frutti dal recipiente, scolateli dell’alcol e spremeteli (a mano, o preferibilmente con un piccolo torchio) per ottenere il succo denso ed aromatico da raccogliere all’interno di un recipiente. Preparate, quindi, uno sciroppo facendo bollire per circa 30 minuti l’acqua con lo zucchero. Una volta raffreddato basterà unirlo con il succo derivato della spremitura delle bacche di mirto e con l’alcool residuo della macerazione dopo averli entrambi filtrati. Il liquore di colore blu che ne viene fuori, prima di essere consumato, dovrà riposare almeno un mese.

È possibile modificare le quantità di acqua e di zucchero per rendere il liquore di mirto più o meno alcolico. Basta ricordare che se a 1 litro di essenza (con alcool a 90°), si unisce 1 litro di sciroppo si dividerà la gradazione volumetrica dell’alcool per due, quindi si otterrà un liquore che avrà una gradazione di 45° circa. Basta aumentare la quantità di sciroppo per ottenere una gradazione alcolica più bassa.

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