Tradizione, vocazione ancestrale, manualità e la forte passione per la storia della dominazione araba in Sicilia di un viticoltore non ancora trentenne. Nascono così nella Valle dello Jato, tra anfore e acciaio, un Grillo e un blend di Nero d’Avola e Perricone senza solfiti aggiunti né filtrazione che non superano i 30 mg/l di solforosa totale.
Si tratta dell’esordio per Adriano Todaro (nella foto in evidenza), vignaiolo della valle dello Jato, che coltiva con passione i terreni di famiglia e che ha cominciato a produrre vini con metodi “antichi” e senza aggiungere nulla di chimico nè in vigna nè in cantina.
La linea di vini prodotti dalla cantina Feotto, porta un nome evocativo (almeno per i siciliani): “Qimanu” che in dialetto significa appunto “con le mani” e ovviamente rimanda al concetto dell’artigianalità. Perfettamente in linea con questo concetto, anche il volume produttivo contenuto: non più di 1300 bottiglie per ciascun tipo.
Adriano Todaro aggiunge anche il massimo rispetto per la vigna di contrada Feotto: 5 ettari coltivati in biologico secondo gli insegnamenti di nonno Giuseppe, rispettando fasi lunari e antiche tecniche conservative per la potatura, seguendo i delicati equilibri naturali dei cicli biologici delle piante.
«Ogni giorno – dice Adriano Todaro – metto in atto tra vigna e cantina una interminabile serie di accortezze con impegno e sacrificio. Tutti i lavori che precedono la realizzazione dei miei vini sono fatti esclusivamente in maniera manuale, convinto e strenuo sostenitore quale sono che una sana agricoltura debba rispettare l’ambiente e non debba stravolgere le piante».
Ma torniamo ai vini “Qimanu”. Il Grillo è raccolto in cassette da 15 kg e viene messo manualmente e direttamente in pressa soffice. Segue fermentazione in silos d’acciaio, con macerazione sulle bucce per circa 15 giorni, con continui bâtonnage tre volte al giorno fino a fine fermentazione, così da rimettere in sospensione la feccia del vino.
Terminato il processo di fermentazione il vino riposa sei mesi nei silos. Al termine va in bottiglia senza la minima aggiunta di solfiti né alcuna filtrazione.
Le uve del rosso sono anch’esse raccolte in cassette da 15 kg e vengono subito distribuite in mastelli all’aperto in cui staranno fino al temine della fermentazione. Seguono tre follature manuali al giorno. Terminata la fermentazione, il vino riposerà nelle anfore di terracotta da 300 litri ciascuna per sei mesi, dopodiché andrà in bottiglia, anch’esso senza nessun solfito e senza filtrazione.
«La scelta di affinare il vino in anfora – afferma Todaro – discende dal fatto di voler riprendere la tradizione araba, attraverso la quale anticamente veniva prodotto il vino. In questo modo i sentori fruttati naturali del Nero d’Avola e del Perricone si uniscono alla terracotta dell’anfora e vengono arricchiti dalle note minerali di quest’ultima».