Codificare la carta d’identità della “Pizza di Sicilia” per custodire la filiera della trasformazione dei grani antichi dell’isola e assicurare ai consumatori qualità e trasparenza: è questo l’obiettivo di lavoro che i pizzaioli siciliani si sono dati insieme all’Associazione Simenza, che nei giorni scorsi ha dedicato a questo progetto un seminario, riunendoli tutti attorno all’ambizioso obiettivo di formulare un vero e proprio disciplinare del prodotto (sarebbe il primo, dopo quello storico della pizza napoletana).
È di Simenza – associazione che già dal 2016 riunisce decine di agricoltori siciliani impegnati sui processi di trasformazione e valorizzazione dei grani autoctoni, coniugati a pratiche sostenibili di coltivazione e produzione – l’iniziativa di dare formalmente avvio a questo iter, assicurando sin da subito la propria disponibilità a farsi titolare del marchio per poter poi curarne l’assegnazione e garantire che chi ne beneficerà si impegni a seguire le previsioni del disciplinare.
«Da sempre il nostro tema centrale è stato quello dell’agrobiodiversità. Ma da sempre diciamo anche che la biodiversità va mangiata», ha spiegato il presidente di Simenza Giuseppe Li Rosi, insieme al direttore Paolo Caruso e a Pippo Privitera, maestro gastronomo, che guiderà il comitato tecnico che si è costituito proprio in occasione del seminario promosso dall’associazione e che sarà composto prevalentemente dal primo nucleo di pizzaioli che si sono dichiarati disponibili a mettere a disposizione la propria esperienza per affinare la ricerca attorno alle caratteristiche dei singoli grani in relazione alle esigenze di lavorazione degli impasti per pizza, così da giungere ad uno schema condiviso di regole per il disciplinare.
«È così che vogliamo ribadire che l’identità della Pizza di Sicilia non può che essere un’identità che nasce dal grano», hanno precisato Li Rosi, Caruso e Privitera, chiarendo che al di là della tutela del patrimonio già rappresentato da alcune specifiche tradizioni locali di pizze e lievitati – dallo sfincione di Palermo al pizzolo di Sortino passando per la rianata trapanese, solo per citarne alcuni -, e al di là dei punti di riferimento univoci che ci si dovrà dare in relazione al processo di lavorazione (dal grado di molitura delle farine all’idratazione dell’impasto, fino ai tempi di lievitazione, alla forma, alla stesura, alla cottura), l’iter a cui si è dato avvio avrà l’obiettivo di giungere ad una ricetta condivisa che parta da un unico, prioritario punto fermo: la materia prima.
Le linee guida del disciplinare a cui si sta lavorando muovono tutte da questa regola: l’esclusivo utilizzo di farine provenienti da popolazioni locali di cereali iscritte al Registro Nazionale delle varietà da conservazione delle specie agrarie o da miscugli evoluti in Sicilia, anche in questo caso già iscritti all’apposito Registro.
«Vogliamo che al cliente finale di ogni pizzeria sia assicurata la massima trasparenza sulla filiera del grano, grazie alla selezione dei grani autoctoni e al lavoro degli agricoltori custodi – concludono Li Rosi, Caruso e Privitera -, ma vogliamo anche che gli siano date tutte le opportunità di ricevere una completa e corretta informazione sulle differenze tra questi grani, sulla loro storia e sul modo in cui il loro impiego va a connotare gli impasti, così da rendere riconoscibili e inequivocabili, in qualunque parte del mondo le si vorrà realizzare e consumare, le caratteristiche della Pizza di Sicilia».
Su questo lavorerà, appunto, il Comitato tecnico che si è già insediato, e insieme a questo definirà l’elenco delle altre materie prime dell’isola da valorizzare nella preparazione pizza, a cominciare dall’olio extravergine d’oliva e dal pomodoro, per completare una ricetta tutta siciliana.