Lo chef Tropea e la sua “Concezione” della cucina degli scarti

cucina degli scarti

“La cucina degli scarti è il mio modo per rendere longeva la cucina e dare eternità all’idea che c’è dietro”. Così Manuel Tropea, 29 anni, chef patron di Concezione, il fine dining restaurant di Catania, racconta il nuovo menu che in questi giorni inaugura la bella stagione. Il focus rimane forte sulla territorialità, che nella cucina di Tropea si fa provocazione con la revisione concettuale di ingredienti e della loro connessione per creare il piatto.

Da scarti “nobili” a ingredienti madre

Se lo scarto è diventato un trend celebrato da registi e influencer, Tropea ne ha fatto, invece, una missione, trasformando gli scarti nobili delle sue preparazioni in ingredienti madre del menu di Concezione. Dall’entrée al dolce: ad ogni piatto, il suo scarto principe. Non decorazione secondaria, ma protagonista.

Perché una cucina come quella di Manuel Tropea, ancorata alla cultura catanese non può prescindere dall’idea che “non si debba buttare via niente”. «La prima idea di riciclo a tavola – osserva Tropea – viene dalla cultura popolare della mia città, dove non è concesso sprecare nulla. Una pasta del giorno prima diventa una frittata, il riso uno sformato, le verdure possono essere un’insalata alternativa. Fin da piccolo ho visto recuperare ogni scarto o eccedenza come atto naturale di rispetto, prima che di risparmio. Qui al Sud è fortissima l’idea che buttare del cibo sarebbe un peccato».

Un profondo senso di sostenibilità

Il nuovo menu di Manuel Tropea non è solo una raffinata dissertazione sul recupero che stimola la fantasia di nuove ricette, ma ha tutto il senso originario e profondo di sostenibilità, che vuole prolungare e rinnovare la vita degli scarti.

La conservazione degli alimenti preserva intatte le loro proprietà e permette di estrapolare nuovi sapori, nuove texture. Così accade che nel menu di Concezione le bucce di limone diventino il letto su cui siedono i gamberi, che quelle delle patate si facciano crema, dalla consistenza più autentica e viscosa, che l’acqua faba dei ceci diventi l’ingrediente principale di un piatto.

Una delle portate “manifesto” di questa Concezione è “La Rama di Napoli di cavolfiore viola”, un dolce la cui anagrafica si intrecciava già con la filosofia degli scarti, e che lo chef ha deciso di ripensare con il suo tocco, sostituendo il biscotto della ricetta tradizionale con una parte vegetale, lo scarto del cavolfiore.

L’idea è arrivata quasi per caso, quando Manuel Tropea si è trovato la cucina “invasa” da oltre cinquanta cavolfiori catanesi per un’altra preparazione, il “Plin”, primo realizzato con le cime di cavolfiore al nerello mascalese, e si è ingegnato per capire come utilizzarne anche la parte più robusta, la ramificazione convenzionalmente scartata, per un’altra ricetta, a completare il menu di Concezione.

D’altra parte, la creatività meditata è una delle caratteristiche che contraddistingue la cucina di Tropea, in grado di trasformare un baccello di piselli in una ganache per macaron e di dare una nuova vita alla “ficupala”, in un percorso di esaltazione sensoriale. A meno di un anno dall’apertura del ristorante Concezione, è stato di recente inserito tra le segnalazioni online della Guida Michelin, che scrive: “In un locale minimalista, dove si fanno notare i bei soffitti a volta dell’edificio storico, troverete uno dei giovani chef più interessanti della città. Manuel Tropea vi guiderà alla scoperta del giacimento gastronomico siciliano, in particolare catanese, interpretato in modo personale e a grandi livelli”.

Nel nuovo menu stratificazione della tradizione, concettuale e territoriale

Se “la vera sostenibilità è essere longevi”, in questa visione, la lattofermentazione per le verdure altro non è, che un filo conduttore con il passato, con le conserve della nonna, in grado di concentrare il sapore degli alimenti, preservandone le consistenze nel tempo. Ed è un po’ lo stesso principio che ispira e lega le portate del nuovo menu di Concezione: la stratificazione della tradizione, concettuale e territoriale. Estrema, come i “Sauri all’agghiata”, tipicamente catanesi, introvabili in qualsiasi altro ristorante o locale di Catania, diventati l’anello di congiunzione con una cucina “da rivivere”.

La cucina degli scarti è una risorsa, è scavo, è pensiero: se da un lato richiede una lavorazione più lunga e competenze tecniche da sviluppare, dall’altro consente di sperimentare, ricercare e ripensare il proprio lavoro per organizzarlo in maniera fluida. Essere sostenibili, dunque, non è solo sinonimo di recupero, ma significa disegnare un modello sostenibile a misura di cucina territoriale.

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