I ceci, ignari protagonisti della rivolta siciliana dei Vespri

“Oggi a cu dici «kìkiri» in Sicilia/si ci tagghia lu coddu ppi so gloria[…]”. L’”oggi” a cui si fa riferimento è il 1282 quando i “kìkiri”, cioè i ceci, divennero difensori dell’identità siciliana.

Il martedì dopo la Pasqua del 1282 (il 31 marzo, ma secondo alcune fonti il giorno prima) dopo la messa del Vespro, il soldato francese Drouet (Droetto) con la scusa di perquisire la popolazione, palpeggiò una donna siciliana che aveva da poco assistito alla messa insieme al marito. Per la vergogna e l’oltraggio subìto, la donna svenne e un giovane siciliano, accorso in sua difesa, si scagliò contro il francese e lo uccise. Da quel momento il popolo siciliano si ribellò all’invasore angioino dando il via alla rivoluzione dei Vespri che pose fine al suo dominio.

Ma come si potevano scovare quei francesi che, per paura di essere uccisi, si travestirono per confondersi tra il popolo? I siciliani fecero ricorso ad un espediente: ad ogni soggetto sospetto facevano ripetere la parola cìciri, cioè ceci. Ma dato che i francesi non riuscivano a pronunciare la c palatale alla siciliana, venivano scoperti perché dicevano sìsiri o kìkiri.

La coltivazione dei ceci è testimoniata fin dall’Età del bronzo, questi legumi erano molto apprezzati sia dai greci che dai romani. I ceci, nel corso del tempo, occuparono una parte importante dell’alimentazione contadina perché, ricchi di proteine e carboidrati, venivano consumati in sostituzione della carne.

In Sicilia i ceci sono conosciuti principalmente come càlia (ossia salati e tostati) e come farina che viene utilizzata per fare le “panelle“. Il cece utilizzato per fare la farina è il “Cece principe di Sicilia” che è stato inserito nell’elenco nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (P.A.T.).

I primi che sperimentarono la cottura della farina di ceci con l’acqua furono gli Arabi, mentre la frittura di questa “polenta” di ceci avvenne durante l’epoca angioina. Non si ha certezza della notizia precedente, ma si sa con certezza che, alla fine dell’Ottocento, le friggitorie siciliane erano soliti vendere durante il periodo natalizio i “pisci-panelli“. Erano le prime panelle chiamate così perché venivano utilizzati degli stampi a forma di pesce e venivano vendute come alternativa alla frittura di pesce, molto più cara e accessibile a pochi. Successivamente la vendita si estese a tutto l’anno e divenne sfizio, ma anche unico pasto, per molti.

Dalle panelle, altro sfiziosissimo prodotto delle friggitorie siciliane sono le rascature. Non sono altro che il risultato della raschiatura della pentola dove viene cotta la farina di ceci, impastato insieme a ciò che rimane dell’impasto delle crocchè e fritto.

Panelle e rascature

Ingredienti

  • 500 gr di farina di ceci
  • 1,5 l di acqua
  • sale, pepe e prezzemolo

In un tegame versate l’acqua e poi la farina, salate e mescolate con un cucchiaio di legno per evitare che si formino grumi. Accendete il fuoco a fiamma media e continuate a mescolare per circa 45 minuti. Aggiungete il prezzemolo. Quando comincerà ad addensarsi, spalmate il composto su formine di legno (o su piatti piani o su piattini da caffè) per provare la consistenza. Continuate fino a che l’impasto non sarà finito. Lasciate raffreddare e staccatele dalle forme. Friggete in abbondante olio caldo.

Per fare le rascature, impastate insieme ciò che è rimasto dell’impasto delle panelle insieme a ciò che è rimasto a quello delle crocchè, formate delle polpette schiacciate oppure delle crocchè un po’ più tonde (potete dare la forma che preferite). Infine friggete.

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