(di Vanessa D’Acquisto) Oggi ha preso il via a San Vito Lo Capo il tradizionale Cous Cous Fest, la manifestazione culinaria che richiama nella cittadina balneare trapanese partecipanti da tutto il bacino del Mediterraneo e che è una festa di condivisione.
Il cous cous ha origine in quella fascia di terra africana che si affaccia nel Mediterraneo e che va dalla Mauritania alla Libia, presso il popolo imazighen, ossia i berberi, che ne abitavano le montagne e le valli. Questo popolo era dedito alla coltura di frumento, orzo, miglio e sorgo, con le quali preparavano delle misture con acqua o latte, da cui si derivare il cous cous a noi noto.
Tutt’ora, presso queste popolazioni, il cous cous costituisce un piatto molto importante, non solo come fonte principale di nutrimento, ma anche come simbolo di identità culturale e religiosa. Il cous cous è portatore di una baraka, cioè una grazia divina; prima della preparazione, le donne berbere devono pronunciare una invocazione pia e durante la stessa preparazione non dovrebbero né vedere né sentire nulla che possa essere portatore di malaugurio.
Nelle zone di religione musulmana il cous cous è piatto tradizionale del venerdì di preghiera collettiva. È usanza mangiare questo cibo con le sole tre dita della mano destra perché, secondo il Corano, ci si distingue dal diavolo che usa un solo dito, il Profeta che ne usa due e dall’ingordo ne usa cinque.
Ma viene mangiato di venerdì, come prima pasto dello Shabbat, anche presso le comunità ebraiche del Maghreb.
I primi reperti archeologici riguardanti alcuni vasi usati per la preparazione del cous cous sono stati ritrovati in tombe risalenti al regno del re Massinissa, intorno al 238 e il 149 a.C. La massima diffusione nella zona del Mediterraneo si deve invece agli arabi che conquistarono le terre intorno al 600-700 d.C. Naturalmente questa diffusione toccò anche la Sicilia, in cui l’opera fu completata dai corallari trapanesi che spingendosi fino alle isole di Tabarka e della Galite, in Tunisia, ritornavano portando con sé, oltre il corallo, un carico di cous cous, conosciuto con il nome di cùscusu.
Il cùscusu nell’isola presenta diverse varianti a seconda della zona di preparazione. Nel trapanese viene accompagnato insieme ad una zuppa di pesci locali, alcuni pregiati che fa supporre che nel passato fosse un piatto della festa. A Sciacca e ad Agrigento viene accompagnato alla carne e se ne fa persino uno dolce, ad Agrigento soprattutto, ricetta segreta delle suore della città (per la ricetta qui).
Le varianti più comuni sono: cùscusu cu u broru ri pisci, cùscusu ca testa ri porcu, cùscusu ca carni, cùuscusu cu brocculu, cùscusu chi favi sicchi, cùscusu ca gghiotta ri favi e piseddi, cùscusu ruci.
Considerato un cibo cummattusu (elaborato, complesso) è legato ai cicli periodici dell’abbondanza, alla socialità e al dono fra parenti e vicini. Le cucine tradizionali, sia marinare che contadine, si presentano come uniche depositarie della ricetta autentica o originaria, dimostrando una vitalità della ricetta capace di condizionare la storia del Mediterraneo e diventando quindi un “bene da salvaguardare”.